MARVELIT. PRESENT:

 

UOMO RAGNO #57

 

BECOMING #2

 

Di Yuri N. A. Lucia

 

 

Sull’Oceano Atlantico, su un volo di linea della Pan Am. Giovedì ore 12.15

 

 

La pistola non era carica. Se fosse stato altrimenti Peter l’avrebbe capito subito dalle vibrazioni che il suo senso di ragno produceva. L’uomo, all’apparenza un mediorientale sulla ventina, capelli rasati, un accenno di pizzo sul volto, magro sin quasi a sfiorare il ridicolo e abbigliato in modo casual puntava l’arma contro la tempia di una hostess e andava proclamando rivendicazioni di tipo politico religioso.

C’era una donna, che fino al suo intervento era stata seduta ai posti più vicini alla coda della seconda classe, armata di coltello, questo però vero, che aveva preso uno stewart, premendogli la lama alla gola. Anche lei pareva essere una mediorientale. Il dirottamento era autentico, però non volevano che partisse per sbaglio un colpo che forasse le pareti o rompesse un oblò dell’aereo sul quale viaggiavano. Non desideravano farlo precipitare in mare ma portarlo da qualche parte, o contro qualcosa. Sembravano troppo sicuri di sé, questo significava che non erano soli: c’era qualcun altro o più d’uno; erano ancora seduti ai propri posti, fingendosi passeggeri, pronti ad intervenire in caso di necessità. Avendo per anni svolto l’attività del fotografo per conto di un giornale, Peter aveva sviluppato uno forte spirito d’osservazione reso ancora più efficiente da quei geni nel suo d.n.a. che avevano acuito la sua vista, accelerato le sue percezioni e guarito gli occhi dai problemi che l’avevano costretto per anni all’uso degli occhiali. C’era uno sceriffo dell’aria seduto poco distante da lui. L’aveva inquadrato subito, anche se all’apparenza sembrava non dissimile dagli altri, era stato proprio il suo aspetto eccessivamente ordinario a tradirlo: c’era qualcosa di artificioso nell’insieme; c’era anche un altro poliziotto in borghese, con un prigioniero al seguito le cui manette erano coperte dalla giacca posatagli sopra. Bambini, parecchi, troppi, spaventati, una decina e altri sessanta tra adulti e i due dirottatori. Quali erano gli altri? Prese in pochi istanti in considerazione tutte quante le opzioni: poteva essere il momento in cui avrebbe dovuto rivelare la sua identità usando i propri poteri e con tante vite in gioco, non poteva escluderlo ma sapeva che anche con le sue facoltà ragnesche risolvere le cose in modo pulito era impossibile. Non c’era un modo pulito per uscirne, si disse tra sé e sé. Era veloce in modo disumano ma non abbastanza da fermare tutti senza impedirgli di fare del male a qualcuno e continuava a rimanere l’incognita dei terroristi nascosti.

Aveva assunto un’aria smarrita e spaventata, anni di bugie e sotterfugi per nascondere il suo segreto, o le proprie azioni con i panni rossoblu indosso avevano migliorato le sue capacità come attore: non voleva allarmarli facendogli capire che stava studiando la situazione.

“Ci ammazzeranno tutti!”

Gridò una donna presa da un moto di isteria. Cominciò ad agitarsi e ad urlare. L’uomo con la pistola teneva il braccio al collo della hostess, e puntò la pistola contro la donna.

“Fatela zittire quella vacca bianca!”

Fece rabbioso il dirottatore. Peter alzò il braccio:

“Lasciate fare a me. Sono uno studente di medicina e mi hanno insegnato cosa fare in questi casi.”

Era un azzardo ma non si era potuto esimere dal farlo: la donna era seduta proprio di fianco al poliziotto con il prigioniero e la coppia che minacciava le loro vite non si era accorta di quello che lui aveva scoperto, troppo concentrati sul loro obiettivo; era un vantaggio che non potevano perdere, lui e gli altri passeggeri .

Il mediorientale parve inizialmente infastidito dalla sua richiesta, poi indeciso e alla fine:

“D’accordo! Ma fai smettere la cagna! Altrimenti buco il cranio a te e a lei!”

Non l’avrebbe fatto con quella pistola. Indosso doveva averne un’altra, probabilmente nascosta dietro.

Peter si alzò, molto lentamente, entrambe le mani ben in vista e sempre con molta calma, camminò sino a sedersi di fianco alla donna che non smetteva di piangere e dimenarsi sul posto. La prese, afferrandole con gentilezza ma fermezza, gli avambracci.

L’uomo con il prigioniero aveva capito da uno sguardo che Peter gli aveva lanciato di sfuggita e anche il suo poco felice compagno di viaggio sapeva che quella mossa aveva lo scopo di non farli scoprire e decise di starsene buono e zitto.

“Mi ascolti bene, le disse parlando con tono calmo e rassicurante, sorridendole tranquillo va tutto bene ora. È importante che lei non faccia così e che si calmi. Come si chiama? Quale è il suo nome?”

Lei si bloccò, il labbro inferiore che tremava per il nervosismo e poi, lentamente, balbettando:

“Mi..Miranda…” “Molto bene Miranda, io sono Peter e non ti dispiace se ci diamo del tu, vero?”

Gli occhi erano arrossati, capillari esplosi, le pupille della donna erano dilatate: aveva preso qualcosa, quello non era semplice panico; forse era sotto l’effetto di qualche droga assunta prima salire sull’aereo o nella toilette.

“No… non mi dispiace.”

“Sei newyorkese?”

“Si…”

“Anche io. Abito nel Queens, a Forest Hill. Tu?”

“Manhattan… abito… vicino a Bryant Park.”

“Di cosa ti occupi?”

“Sono una… organizzatrice di eventi…”

“Cosa ci facevi in Europa?”

“Ero… lì per lavoro…”

“Non è la prima volta che voli, vero?”

“No. Odio… odio però volare.”

Perfetto, si disse Peter, aveva a che fare con una newyorkese rampante, che probabilmente come tutte le donne nella sua posizione viveva continuamente come in un episodio di sex and the city, convinta che tutto il mondo girasse intorno a sé e ai propri desideri. Aveva paura di volare e doveva aver fatto un tiro di coca per darsi coraggio, come suggeriva il rossore delle narici. Si stava calmando, ora riusciva a comportarsi quasi normalmente anche se di normale in quella situazione c’era ben poco. A lui non erano mai piaciute quel tipo di persone, pensavano che tutto gli fosse dovuto e che chi viveva al di fuori della loro cerchia fatta di party scintillanti e mode new age e radical chic fosse solo spazzatura buona al più per servirli ma di fronte ora aveva una giovane donna spaventata, trovatasi ad affrontare un mondo che il suo non aveva niente a che fare: quello della realtà.

 

 

Quartier Generale della Polizia, Police Plaza 1, sala interrogatori dell’ OCID – Giovedì, ore 12.00 p.m.

 

 

Rucker andava avanti e indietro ondeggiando quasi fosse un fuscello esposto al vento, evitando accuratamente di guardare l’uomo seduto all’altro capo del tavolo. Il silenzio era calato da diversi minuti e attimo dopo attimo rivedeva la scena nella sua mente, e cercava di immaginare cosa potesse aver pensato Mansel ma si disse che era una domanda idiota: non si ha tempo di pensare quando ti sparano, fu la risposta che si diede; si fermò e si girò verso di lui:

“Ero in Vietnam nel ’70.”

Aveva pronunciato quella frase in tono colloquiale, calmo, senza lasciar trapelare nulla di quello che gli si stava ferocemente agitando dentro.

La sala degli interrogatori non era come quelle che si vedevano nei film. Non aveva nulla di opprimente, né tanto meno sporca ma piuttosto spaziosa, pulita, in un certo senso quasi accogliente e rilassante.

C’erano anche un paio di vasi di plastica con dei fiori.

L’unico elemento in comune con il mondo della finzione era il grande specchio dietro al quale altri stavano assistendo al colloquio.

Il poliziotto si fece d’appresso al grande tavolo, prese il bricco del caffè e ne verso un po’ nel bicchiere di plastica di Nguy Ikki.

“Davvero? Con che gruppo era?”

“4° divisione, poi fu sciolta e mandata in forza al cavalleggeri.”

“La cavalleria dell’aria. Lei ha prestato servizio con Hal Moore.”

“Per un po’, si.”

“All’inizio eravate dislocati ad Hanoi.”

“4 mesi.”

“Le è piaciuta?”

“Era un vero inferno!”

“Vero.”

I due uomini ridacchiarono.

“Dopo il Tet, nessuno si sentiva più sicuro a camminare per le strade della città, nonostante dei vietcong si fosse fatta pulizia due anni prima. Rimanevano parecchi simpatizzanti e spesso erano donne e bambini.”

“Però lei ci è dovuto rimanere lo stesso.”

“Ero un soldato. Ho fatto il mio dovere.”

“Cioè scoparsi bambine nei bordelli della città, promettendogli una vita felice in America per farsi fare lo sconto, metterle incinte e poi scaricarle come sacchi dell’immondizia quando aveva finito di svuotare l’uccello?”

“Combattere. Quello era il mio dovere. Quelle che mi passavo nei bordelli erano grandicelle. Non sono un pedofilo di merda, non mi piace che lo si insinui.”

“Però lei ha ammazzato tanta gente.”

“Anche lei.”

“Io combattevo per la libertà del Vietnam.”

“Le sembrerà buffo, disse con un sorriso amaro anche io pensavo di combattere per lo stesso motivo.”

Ci fu una lunga pausa.

“È stata dura…”

“Eravamo dei ragazzini allora, lei ed io. Abbiamo la stessa età.”

“Già.”

“La vita ci ha portati qui, tutti e due, io ora sono un poliziotto e lei gestisce un negozio di articoli per la casa.”

“Un lavoro onesto.”

“Un lavoro onesto e rispettabile. Però sappiamo tutti e due che non ci siamo lasciati dietro quello che è successo lì, vero?”

“Lei ci potrebbe  riuscire?”

“Forse non ci vogliamo riuscire.”

“Forse.”

“Lei era un simpatizzante dell’esercito del nord.”

“No. Non ero un simpatizzante dell’esercito del nord, né tanto meno di Ho Chi Min. Non mi piacevano i comunisti, mai sopportati.”

“Però li aiutava.”

“Erano pur sempre Vietnamiti.”

“Capisco il suo punto di vista. Lei non amava uccidere, vero?”

“Pensa che io sia un assassino?”

“Penso che per lei debba essere stato penoso fare quello che faceva. Il suo dovere.”

Nguy abbassò lo sguardo. Prese il suo bicchiere con il caffè e dette una sorsata. Assaporò la bevanda nella sua bocca, sulla sua lingua, lasciando che il calore si spandesse come a cercare in esso un po’ di conforto.

“ Lei c’era, lo sa come andavano quelle cose.”

“E quando è venuto negli Stati Uniti? Come mai è venuto nel paese dei suoi nemici?”

“Non sono nemico degli U.S.A. C’era la guerra tra di noi, ed era con i vostri soldati, con lei ed i suoi commilitoni che combattevo. Non ho mai fatto la guerra alla popolazione, noi non eravamo come gli islamici! Non si preoccupò di non lasciar trapelare il disprezzo che provava La guerra è finita, non ero simpatizzante comunista e questo mi rese poco gradito al nuovo governo. Riuscii ad andarmene per tempo e decisi di venire qui. La terra delle grandi opportunità.”

“Dove le strade sono lastricate d’oro.”

Aggiunse Rucker in tono divertito.

“Dove le strade sono lastricate d’oro.”

Gli fece il verso l’altro.

“E di spazzatura, siringhe e preservativi usati, pagine di riviste porno. E sopra ci camminano le prostitute, i transessuali, gli sfruttatori, gli spacciatori, e ci dormono barboni, malati di mente, bambini scappati di casa. Ci sono poi tutti gli avvocati, i dottori, i rispettabili cittadini che camminano poco più in là e poi ci sono i pezzi grossi della malavita, vero? Quelli che non riesci a capire in quale fila dovrebbero camminare perché sono sempre eleganti e gentili ma così marci dentro da far rabbrividire anche uno come lei.”

“Intende uno che ha visto l’inferno?”

“Per l’esattezza.”

“Si, provo schifo per tutto questo ma ho imparato ad amare questo paese e ad essergli grato per la possibilità che mi ha dato.”

“Certo, ci credo! Lei paga regolarmente le sue tasse, non ha mai evaso neanche un cent, lavora come un mulo a 49 anni suonati e trova persino il tempo di andare a fare del volontariato con gli anziani ed i disabili. Lei però non è stato un santo…”

“So a cosa si riferisce. Ho picchiato mia moglie, è vero e me ne vergogno terribilmente. Ho pagato. Mia moglie se ne è andata, mi ha lasciato solo ed i miei figli non vogliono più parlarmi. Non li vedo più da anni. Lei sa cosa significa questo?”

“Si. Rispose Rucker, lo sguardo carico di comprensione poi si indurì improvvisamente. Lei però picchiava sua moglie.”

“Era un periodo difficile e so che questa non è una giustificazione valida. Sono stato con un gruppo di sostegno, sono andato da uno psicologo specializzato in questo tipo di problemi e poi mi sono riavvicinato alla chiesa.”

“La chiesa, si. Lei è cattolico, si?”

“La sua domanda è oziosa. Sa benissimo che sono cattolico.”

“E torniamo al volontariato. Un elemento prezioso della nostra comunità, è così che l’hanno descritta tutti i suoi amici della chiesa. Lei si considera un buon credente?”

“Spero di esserlo. Ci provo con tutte le mie forze.”

“Durante la guerra però lei non era più credente, o sbaglio?”

“La mia Fede ha vacillato, è vero ma ora l’ho ritrovata!”

Lo disse in uno scatto di rabbia, la fronte imperlata dal sudore, i denti quasi digrignati.

“Non mi fraintenda, non sto mettendo di certo in discussione la sua fede. Non mi permetterei mai. Del resto è comprensibile che possa aver avuto dei dubbi. Chi non ne avrebbe avuto? Come si può credere al miracolo della transustazione, dopo aver sentito l’odore della carne e del sangue che bruciano per il napalm. Come si può credere alla resurrezione quando hai visto le fosse comuni? Come si può credere che il dolore provato da Nostro Signore sulla croce possa aver redento davvero il mondo mentre vedi qualcuno contorcersi in terra per effetto delle bombe al fosforo? Era terribile, eh? Sa cosa è ancora più terribile? Come la gente abbia dimenticato tutto. Ancora più terribile  è vedere tutta quell’immondizia per le strade. Ha presente quei negri di adesso? Quelli che si vestono come se fossero degli scemi e fanno quei versi da scimmie. Com’è che fanno? Yo, yo! Fece un gesto a imitazione di uno visto da un video rap, con aria disgustata E cosa fanno tutto il giorno? Spacciano, rubano, ti minacciano con il coltello. Ma non sono loro i peggio, eh? Sono quelli vestiti da persone per bene, quelli con i soldi, quelli che gli hanno messo le armi in mano ai teppisti di strada. Le è mai capitato di vederli nei ristoranti, mentre si ingozzano come maiali? Mentre arrotolano gli spaghetti intorno alla forchetta? Quante volte ho avuto la tentazione di prendergliela dalle mani e infilargliela su per la gola!...”

“Basta!!!”

Nguy scattò in piedi all’improvviso, sbattendo le mani sul tavolo. Dietro il vetro ci fu agitazione ma Rucker aveva fatto un segno inequivocabile: non intervenire; non distolse un solo istante lo sguardo dal sospetto che ora stava crollando.

“Basta cosa? Basta le urla dentro la testa? Basta il senso di impotenza? Di umiliazione? Basta gli sguardi di indifferenza su tutto quel orrore che hai dovuto vedere?”

“Voglio il mio avvocato!”

“Il tuo avvocato?! Per cosa Nguy? Per cosa vuoi l’avvocato?

 

 

Sull’Oceano Atlantico, su un volo di linea della Pan Am. Giovedì ore 12.35

 

 

Peter pensò che i dirottatori avessero già piazzato qualcuno nella cabina di pilotaggio e probabilmente i piloti erano morti. Dove volevano arrivare? Contro quale obbiettivo li avrebbero diretti? Si era concentrato, escludendo tutti gli altri sensi, fattosi dimentico anche di Miranda che al suo fianco continuava a parlare per tenere occupata la mente e distrarsi così dall’orrore che stava colpendo la propria vita. Fu come se il formicolio che solitamente provava dietro la nuca, si sciogliesse, quasi fosse stato una sorta di nodo ed ora i suoi fili si allungassero ovunque. Non aveva mai tentato qualcosa di simile ma ricordava che Darion* gli aveva detto che era probabilmente in grado di farlo. Fu invaso da una quantità tale di emozioni e sensazioni da essere sul punto di urlare ma riuscì, per sua fortuna, a trattenersi. Stelle. Era come trovarsi disperso in un oceano di stelle e poi, d’un tratto, cominciare a distinguere costellazioni e galassie, trovando improvvisamente la strada che si temeva irrimediabilmente smarrita. Aprì gli occhi, tornando alla realtà. Sapeva chi erano gli altri complici ancora in incognito dei due terroristi e purtroppo aveva avuto una conferma dei suoi timori su quanto potesse essere accaduto in cabina di pilotaggio. La testa ondeggiava leggermente, per via dello sforzo che aveva sostenuto: era una nuova abilità che non padroneggiava ancora perfettamente;  non c’era tempo da perdere, sapeva che ogni secondo era prezioso. Pregò che né lo sceriffo dell’aria, né il poliziotto con il prigioniero, né nessun altro vedesse cosa avrebbe fatto. Il momento era quello giusto. Fu rapido nell’infilarsi le dita in gola e tutti si voltarono solo quando partì il primo fiotto di vomito.

 

Il mediorientale gli teneva puntata la pistola contro, evidentemente innervosito.

“Mi dispiace, purtroppo mi capita spesso in aereo.”

“Sta zitto! E pulisci subito quello schifo!”

L’inglese che parlava era piuttosto fluente e non si sentiva nessun accento strano. Doveva essere vissuto a lungo in un paese dove si parlava quella lingua, notò Peter.

“D’accordo… ma come mi pulisco?”

Mirando aveva ripreso a tremare. I due uomini di legge lo fissarono piuttosto interdetti.

“Maledizione! Americani del cazzo! Ora ascolta bene! Andrai in bagno ma se farai qualche stronzata…”

“Ho capito l’antifona.”

Si alzò e si diresse lentamente verso il fondo dell’aereo. C’era qualcuno lì, lo sapeva, l’aveva percepito prima. Contava proprio su quello. Pochi minuti e lui doveva essere rapido e deciso. Arrivò al bagno e avvertì subito la presenza dell’uomo nascosto dietro una tendina scorrevole, dove probabilmente era tenuto il cibo e le bibite. Ultimamente si era fatto molte domande sul reale funzionamento del senso di ragno e anche grazie agli ultimi avvenimenti occorsigli si era reso conto che non aveva una funzione puramente difensiva come aveva sempre pensato. Si voltò rapidamente, e colpì con due dita, guidato dal suo istinto, attraverso la tenda fino al plesso solare dell’attentatore che svenne di colpo. Lo afferrò in modo che non cadesse in terra, posandolo contro la parete. Usò la propria tela organica per bloccargli la bocca e gli arti. Aveva scoperto che la durata si era modificata da quando l’aveva acquisita. Gli ci volevano 47 minuti perché si dissolvesse ma la sua resistenza era notevolmente aumentata. Si infilò subito in bagno e richiamò alla memoria quanto aveva studiato su quei bestioni. Quando era un quattordicenne affitto dall’acne e dall’acidità di stomaco, tra le sue varie passioni c’erano anche gli aerei e aveva letto parecchi libri su di essi. Dopo quanto accaduto alle Torri Gemelle aveva in un certo senso riscoperto quella sua passione anche se con finalità diverse. Capitava che lui, o M.J., dovessero prendere un aereo e più di una volta aveva pensato che se si fosse trovato in una situazione del genere avrebbe voluto sapere come uscirne fuori… tante volte aveva tentato di immaginarsi come sarebbe stato, cosa avrebbe fatto, e tutte le volte che si era confidato con sua moglie, lei si era messa a ridere dicendogli che era troppo ansioso e che non poteva preoccuparsi di un eventualità remota come quella. Quelle ore passate davanti al pc a studiare schemi sugli aerei di linea, nazionali ed intercontinentali, ora gli parevano tra quelle spese meglio nella sua vita. Provò un desiderio bruciante dentro: tenere sua moglie stretta tra le sue braccia, sentire di nuovo la dolce pressione del suo morbido corpo, e poter giocare con sua figlia, lanciarla in alto e riprenderla, sentendo le sue risa riempirgli le orecchie; Peter Parker voleva tornare dalla propria famiglia ma adesso doveva raggiungere un obbiettivo, quello di salvare tutte quelle persone e sopravvivere.

 

Nessun uomo normale avrebbe potuto fare quello che stava facendo lui senza incontrare difficoltà quasi insormontabili ma lui non era un essere umano ordinario. Non aveva nulla per togliere le viti che tenevano fermo il pannello sopra la propria testa, perciò fece aderire le dita sulla superficie e lo tirò via con un colpo secco pregando di fare meno rumore possibile. C’era uno spazio esiguo e anche uno con l’agilità di Devil, Cap o Wolverine non sarebbe passato tanto facilmente in quello spazio o quanto meno non tanto facilmente e velocemente come avrebbe fatto lui. C’erano milioni di anni di evoluzione aracnidea compressi nel suo d.n.a., generazioni di cacciatori che avevano appreso come scivolare rapidamente tra le tenebre degli spazzi angusti, alla ricerca di una via di fuga dal pericolo o di una preda. Lui stava facendo entrambe le cose e si trovò a chiedersi se fosse quella la vita del ragno che l’aveva morso anni addietro. Non aveva mai pensato a lui in questi termini: come se fosse una persona.

Sei finito in quella tempesta di radiazioni per darmi quei poteri? Tutta una  vita solo per arrivare all’incontro con me? Si chiese. Strisciò, lasciando che le ossa si piegassero in modo disumano, spingendosi con la forza della sua muscolatura alterata. Usò il senso di ragno per  orientarsi, o meglio, lasciò che lo guidasse verso la fonte del pericolo. Sotto il suo ventre appiattito contro il metallo avvertì i quattro che stavano nella seconda classe, e i poi quello che stava in prima classe. C’erano troppi cavi e fili in prossimità della cabina e non poteva avanzare più senza fare rumore o provocare danni. Ricordava perfettamente tutti gli schemi sugli aerei che aveva studiato e quando fu sotto alla piastra che aveva cercato, si girò sulla schiena e la sollevò. Un istante e fu fuori, chiudendola immediatamente. Sapeva che l’aereo aveva sobbalzato. Trentadue secondi era quanto gli ci era voluto per andare dal bagno a lì, più i diciannove secondi impiegati per stendere ed immobilizzare il terrorista ed i sei secondi per spostare il pannello faceva un sacco di tempo, troppo per i suoi gusti. Se fossero andati a controllare sarebbe stato un guaio. Contava sul fatto che non erano in molti e non si sarebbero separati facilmente. Il vento lo sferzò con forza facendogli volare via quelle gocce di vomito che gli erano rimaste sul corpo dopo essersi tolto la maglietta. Avrebbe dovuto essere spazzato via se fosse stato un altro ma lui era l’Uomo Ragno e una volta si era anche attaccato ad una capsula spaziale di ritorno dal suo viaggio siderale. Inizialmente non vide nulla, poi la vista gli tornò immediatamente. Membrane addizionali: l’aveva scoperto un po’ di tempo prima; una sostanza organica che colava frammista alle lagrime, formando una sorta di temporanea lente a contatto naturale che lo proteggeva dal vento. Sapeva che l’eliminazione del difetto alla vista che l’aveva affitto per buona parte della sua vita non era stata l’unica miglioria apportata agli occhi. Aderiva alla superficie ricorrendo al suo potere di attrazione molecolare ma non era comunque un’impresa facile. Sentiva il cuore pompare sangue con forza, la temperatura del corpo alzarsi, mentre veniva prodotto uno speciale antigelo organico che lo aiutava a non morire congelato. Sapeva che comunque il dispendio di proteine, tra quell’impresa e lo sforzo delle ghiandole filifere era terrificante e si disse che dopo avrebbe dovuto mangiare almeno due bufali per poter reintegrare tutte le proteine perse. A denti stretti fece l’unica cosa che poteva: aprì di colpo il portello d’emergenza  della cabina richiudendolo immediatamente una volta dentro con la sua tela; i due terroristi erano troppo sorpresi per rendersi conto di cosa stava realmente capitando. Avevano bloccato la porta e, come supposto prima, ucciso i piloti tagliandogli la gola. Sentì un’ondata di rabbia urlargli prepotentemente dentro.

“Sporchi assassini…”

Mormorò a denti stretti. Afferrò con rapidità il polso di uno che aveva tentato di estrarre una pistola. Era stato un movimento fluido e aveva avvolto con il palmo l’obbiettivo, stringendo con forza sufficiente a farlo scricchiolare ma non a produrgli un danno permanente. Ci pensò l’altro, sparando nel cranio del compagno nel tentativo di colpire al torace  l’uomo che era entrato improvvisamente da dove non sarebbe stato possibile. Era uno spirito, non c’era dubbio. Questo pensava la mente alterata dall’eccitazione che aveva avuto la meglio. Fu un istante. Il cervello di quello schizzò sul vetro dopo che aprì il fuoco dentro la propria bocca.

“No!”

Urlò Peter in preda alla disperazione. Non aveva voluto quello. Si portò subito alla cloche, prendendola tra le mani e tenendola ferma. Non sapeva pilotare un aereo, aveva preso solo un paio di lezioni su di un vecchio aereo Cessna, frutto dell’unica volta che aveva vinto un concorso radiofonico in tutta la sua vita. Sapeva che non gli sarebbero servite a nulla, non poteva pilotare, o far atterrare quel gigante dei cieli. Poteva però dare una chance ai passeggeri, pregando che i due poliziotti, essendo addestrati, reagissero con prontezza. Due minuti e gli spari si erano sentiti, c’erano solo pochi istanti. Fece oscillare violentemente l’aereo, sperando di non perderne il controllo. Quattro violenti scossoni e poi premette il pulsante del pilota automatico, togliendo rapidamente la barra che bloccava la porta. Uscì da dove era entrato, sigillò nuovamente il portellone e tornò velocemente sui suoi passi. Di nuovo il gelo e le tenebre e poi, l’odore del vomito che appienava il bagno. Quando fece la sua comparsa all’interno dell’aereo si presentò la scena in cui aveva sperato anche se leggermente diversa.

I terroristi erano stati immobilizzati da tutti i passeggeri che si erano rivoltati approfittando dei bruschi movimenti dell’aereo che li aveva fatti cadere in terra e che aveva fatto si che i loro compagni nascosti si rivelassero. Uno era in terra, il braccio paralizzato da un colpo del revolver dello sceriffo dell’aria.

Nella prima classe i passeggeri avevano immobilizzato il dirottatore come quelli della seconda avevano fatto con l’uomo e la donna. Quello che non quadrava nella scena era il ragazzo dalla pelle gialla e squamosa che teneva immobilizzato un terrorista in terra.

Ora sembrava che anche gli altri se ne rendessero conto e lo fissavano con espressione sbigottita e carica di paura. La voce di questi dette ragione alle teorie di Peter:

“Non allarmatevi. Sono un mutante e non ho nessuna intenzione ostile nei vostri confronti.”

Le manette che aveva i polsi, rivelavano che era il prigioniero che il poliziotto aveva al seguito.

 

 

Greenwich Village, New York City – Venerdì ore 6.35 p.m.

 

Blue Bird rotolò di lato, arrivando a mettere in fila i due ragazzi armati di catena e spranga. Colpì mirando agli occhi e alla gola, rapida, precisa e il primo cadde in terra tossendo. Sentì l’aria sferzata dagli anelli di ferro che cercarono la sua pelle. Alzò l’avambraccio guantato a difesa del volto. Sentì dolore mentre gli si arrotolava addosso ma sapeva che quando si combatteva con qualcuno armato, c’era sempre un sacrificio da fare ed era meglio quello che una zona importante o vitale. Non si oppose quando venne tirata ed assecondò il movimento che le veniva imposto, finendo però di lato al tipo che aveva pensato di essere riuscito ad avere la meglio. Lei gli poggiò la mano sulla fronte e spinse, facendogli istintivamente piegare le gambe che colpì con un veloce calcio facendolo finire in ginocchio. Con il taglio assestò un rapido colpo alla laringe e lui svenne per il dolore.

I calci, in un combattimento reale, non erano mai così efficaci come si vedeva nei film ma se l’avversario era sufficientemente lento e stupido come quello che la stava caricando alle spalle, il discorso cambiava. Ruotò su sé stessa e con il tallone spazzò la mascella di un uomo sulla trentina, alto un metro e ottanta, la pelle del volto butterata, un’espressione sorpresa e dolente mentre cadeva miseramente.

L’Uomo Rana sentì con grande disagio del proprio stomaco la violenta accelerazione a cui i suoi nuovi stivaletti pneumatici l’avevano sottoposto. Non aveva calcolato bene le conseguenze dell’ulteriore potenziamento del suo costume. Doveva rivolgersi quanto prima a Scorch. Si sentiva scombussolato e perse il senso dell’equilibrio al termine della sua capriola all’indietro. Per sua fortuna, quando John O’Neil e Billy Bradford tentarono di approfittarne per colpirlo mentre si trovava sdraiato sull’asfalto, si materializzò tra lui ed i due aggressori Phantom Rider che schioccò la sua frusta bloccandone l’avanzata.

“Tutto bene?”

Chiese Derek con tono preoccupato da dietro la sua maschera bianca.

“Tutto bene.”

Tentò di rassicurarlo Eugene, smentito subito da un paio di violenti colpi di tosse.

“Fermo là!” Minacciò Phantom colpendo proprio davanti ai piedi di John che aveva tentato di attaccarlo nuovamente. Billy estrasse un coltello a serramanico e Derek esitò: il trucco di colpire un bersaglio piccolo e specifico gli riusciva bene ma quella era una mano vera; se avesse sbagliato, dosando male la forza, avrebbe potuto fargli dei danni permanenti o prenderlo ad un occhio. Non voleva che accadesse e mentre era concentrato sul ragazzo l’altro ne approfittò per avventarsi contro l’Uomo Rana che, barcollante, si era tirato su. Quando gli fu addosso, cadde all’indietro per effetto della spinta ricevuta, fece in modo di sfruttare l’imbottitura sulla schiena per non farsi troppo male, gli pose entrambi i piedi sul ventre ed eseguì la sua manovra preferita: lo lanciò aprendo per un istante le valvole dei truster facendolo finire in mezzo alla spazzatura che il camion non aveva ritirato quel giorno.

Vinta l’indecisione, Phantom Rider si avventò contro il ragazzo con il coltello che subito tentò di colpirlo al torace con un affondo ritrovandosi con il braccio e la mano avvolti nel mantello del giustiziere lunare che quest ultimo aveva usato come arma di difesa. Torse il braccio con una tecnica di combat aikido e colpì in veloce sequenza il diaframma e il plesso solare con il taglio della mano.

 

La Human Family era una delle più temute gang di quella zona. Una volta, quando rapinavano le coppiette nei parchi, si facevano chiamare i Menace, poi i loro bersagli preferiti divennero i giovani mutanti, i barboni, i portatori di handicap e decisero di cambiare il proprio nome. Non si trattava di giovani disadattati con sordide storie alle spalle ma di figli di buona famiglia che si divertivano a terrorizzare il prossimo per il gusto di farlo. Eugene gli stava alle costole da un bel po’ di tempo. Due anni prima, una ragazza che conosceva era stata picchiata da quei balordi insieme al suo ragazzo, un mutante, e loro l’avevano fatta franca perché avevano il volto coperto e non c’erano stati testimoni. Avrebbero ripetuto il loro abituale numero di sangue e violenza con una coppia di vecchi senza tetto ma stavolta era andata diversamente. Il piano era stato semplice, avevano piazzato un paio di telecamere digitali e avevano ripreso tutto quanto.

“La faranno franca lo stesso. L’aveva ammonito Blue Bird Un paio di questi bastardi sono figli di avvocati e saranno fuori prima di domani.”

“Non mi importa. Qualcuno doveva fare qualcosa.”

Replicò Eugene che dall’alto del tetto dove si trovavano, continuava a fissare la polizia mentre ritirava i delinquenti che loro gli avevano consegnato.

“Ci dovrebbero ringraziare. Non dico dare un premio ma almeno un grazie.”

Affermò Phantom che si era seduto a gambe incrociate in terra.

“Ed invece no, gli rispose l’Uomo Rana grazie ad anni di campagne contro i giustizieri mascherati, spesso e volentieri siamo considerati alla stregua di quella feccia che oggi siamo riusciti a sgominare.”

“Che idiozia!” sbottò Blue.

“Scusa, che vuoi dire?” chiese Derek scoccandole un’occhiata di sfida da sotto la maschera.

“Guardaci! Ci hai visto? Ce ne andiamo in giro vestiti con costumi di elastan, le nostre identità sono segrete e alcuni di noi sono persino minorenni. Cosa pretendi? Che ci vengano a dire bravi, continuate così! Avete fatto benissimo.”

Eugene prevenne le proteste del suo amico con un’alzata di spalle che stava a significare: Doroty è fatta così, tocca accettarla per quello che è; poi proseguì:

“Comunque sia, quella era solo una parte della gang. Ci sono molti altri di loro a piede libero. Forse è vero che saranno fuori prima di domani ma a me può andar bene anche così perché li terremo d’occhio e loro ci porteranno dai loro amichetti e allora si che avremo fatto un colpaccio.”

“Non  sarà così facile. Per trovare questi qui abbiamo dovuto chiedere ad un sacco di gente e tu stesso eri sulle loro tracce da parecchio tempo. Saranno più prudenti ora.”

“Forse hai ragione Blue ma io confido invece che siano abbastanza stupidi da fare il nostro gioco e poi ho un’idea sul come stanarli.”

“Sarei curiosa di sentirla.”

“Stasera allo Strange Palace ne parleremo.”

“Possiamo considerare finita qui la nostra ronda?” Chiese sarcastica.

“No. C’è sempre la possibilità di trovarne altri. Da quando quel gruppo di mutanti ha intentato causa al Governo per la storia delle sentinelle*, gli attivisti antimutanti sono divenuti ancora più aggressivi. Sono stati registrati attentati e atti di ritorsione in tutta la città.”

“Cani rognosi!” fece a denti stretti Phantom Rider.

“Calma amico mio. Fece Eugene mettendogli una mano sulla spalla Capisco il tuo risentimento nei loro confronti. Sono davvero degli individui spregevoli ma non devi perdere la testa, né tanto meno farti guidare dall’ira. Sono furbi, e ben organizzati. Mi servi lucido e completamente padrone di te.”

“Non sarà semplice…”

Blue Bird guardò entrambi, il suo volto celato dalla maschera che ricordava il muso di un uccello stilizzato. Era preoccupata. Non avrebbe mai dovuto lasciarsi coinvolgere in quella maniera. La città, nell’ultimo periodo, era divenuta persino più pericolosa del solito: la guerra tra bande malavitose, lo Scorpione completamente fuori controllo, quel misterioso vigilante soprannominato il Demone che stava fomentando le rivalità tra i criminali, il ferimento di un poliziotto da parte di un altro vigilante che pareva aver inizialmente preso di mira solo i malviventi, l’incidente dei Mercury labs intorno al quale giravano strane voci, così come si mormorava che Goblin era stato visto di nuovo in giro; una serie di eventi decisamente poco piacevoli che parevano il preludio a qualcosa di più grande. Anche lei aveva i suoi informatori e gli avevano parlato di qualcos’altro, qualcosa che per il momento la polizia, oberata com’era di lavoro, aveva preferito tener segreto alla stampa. Si diceva che alla chiesa di S. Moritz fosse stata fatta una vera e propria mattanza. C’era poi la questione del Jester. Le bruciava ancora quanto accaduto. Si, la Grande Mela pareva sull’orlo di esplodere, solo ieri c’era stato un tentativo di dirottamento di un aereo diretto al J.F.K.

“Che schifo di tempi…”

Disse tra sé e sé mentre con i suoi nuovi compagni fissava la polizia ritirare l’immondizia che sarebbe presto tornata a insozzare le strade.

 

 

Bronx, nei pressi del ricovero S. Matthew per i giovani bisognosi d’aiuto. Giovedì, ore 5.00 a.m.

 

Aveva il respiro pesante come non gli capitava da tempo. Sentiva Robert che correva dietro di lui ma non ebbe il coraggio di voltarsi per guardarlo. Non dopo quello che aveva visto accadere a Missy e Mohaemed. Continuò a correre in avanti, sospinto dalla disperazione e dalla paura.

“Non li vedo più…”

Furono quelle le ultime parole che sentì pronunciare dal suo amico e dopo, la sensazione appiccicosa del sangue sulla pelle. Gli schizzi che fuoriuscirono dal corpo di Rob, martoriato senza pietà, lo raggiunsero alla schiena, sulla nuca.

“Aiuto!” Urlò disperato mentre fuggiva come una bestia spaventata lungo le vie sudice e ancora maleodoranti per il lerciume che la passata pioggia aveva fatto traboccare dalle fogne e che ancora non era stata tolta. Questo forse era divenuto il suo mondo: un intrico di grigie strade che affondavano nella merda; l’odore era nauseabondo, l’odore degli scarti del mondo civilizzato, della gente per bene, delle famiglie felici. L’odore di un mondo fattosi dimentico di lui e di tutti quelli come lui. Però degli altri poco gli importava in quel momento. No, si corresse, era tutta la vita che poco gli importava degli altri.

“Aiuto!” Fece nuovamente, come invasato dall’angoscia. Vide serrande abbassarsi, tendine venire chiuse, persino un senza tetto che con il suo carrello infilò velocemente un vicolo. Nessuno voleva aiutarlo. Nessuno voleva sapere. Forse qualche curioso stava spiando in silenzio da dietro la propria finestra, al sicuro nell’intimità domestica, riparato da un doppio vetro che lo separava dall’orrore di un mondo fatto di acciaio e cemento. Un mondo sempre più inferocito, pronto a divorare chiunque non avesse un rifugio dove scappare. Lui ci aveva provato con quel covo di preti e suore, dove gli davano tre pasti al giorno e cercavano, parole loro, di rieducarlo al fine di inserirlo nella società. Non sapeva quando si era disconnesso da essa. Non ricordava neppure se mai ne fosse stato parte.

“Aiuto!” Protesto con veemenza contro quei volti invisibili che lo stavano condannando a morte. Una famiglia l’aveva avuta, una possibilità di farsi una vita come gli altri anche ma poi aveva fatto delle scelte e aveva voltato le spalle a tutto e tutti. Una volta rideva di quel Mondo che tanto trovava patetico e noioso, ed ora avrebbe fatto tutto pur di potervi fare ritorno.

Vide un sexy shop. L’insegna diceva h24. Rapido si infilò dentro. La luce al neon colpì i suoi occhi abituatisi ad una mattina nuvolosa e per un istante vide solo immagini sfocate.

“Hey amico! Ti pare questo il modo di…”

“Sta zitto!”

Ammonì rabbioso l’uomo al di là del bancone. I lineamenti di questi gli parvero indistinguibili nella loro grottesca ordinarietà. I clienti presenti, uomini e qualche donna, lo fissarono per qualche momento in silenzio.

“Guarda, un tossico…”

“Forse vuole rapinarci…”

“Che cosa vorrà?...”

Così lo vedevano? Era davvero divenuto tanto patetico agli occhi degli altri? Urtò con un gomito un fallo di gomma di proporzioni asinine e cadendo questo colpì alcune custodie di dvd che lo seguirono nella sua corsa verso il pavimento. Fece un salto all’indietro per lo spavento e finì contro un manichino abbigliato con una tuta in latex così aderente che pareva impossibile fosse indossabile da un essere umano. Almeno da un essere umano sano di mente. Si lasciò scappare un grido strozzato di paura ma quando s’avvide ch’era solo un fantoccio inanimato, cominciò a ridacchiare sommessamente, poi sempre più vivamente, finché l’isteria ne ebbe la meglio. Ora si rendeva perfettamente conto di dove fosse e di quanto quel luogo fosse ridicolo e di come la sua presenza lì riuscisse ad esserlo ancora di più, in maniera addirittura drammatica.

“Allora! Devo chiamare la polizia? Vai via di qui!”

La minaccia parve giungere da lontano e neanche si accorse dell’incertezza con cui era stata formulata. Piangeva mentre la bocca gli si era contratta in un orribile ghigno.

Il silenzio fu il messaggero della sua venuta. Il terrore negli occhi dei presenti era la testimonianza dell’algida apparizione che aveva preso forma alle sue spalle. Un signore di mezza età che si stava masturbando in un angolo del negozio non sorvegliato dalle telecamere lasciò cadere in terra la rivista oggetto delle sue fantasie e s’accosciò semi svenuto mentre l’ombra che si era staccata dalle altre ombre si faceva avanti verso la preda.

“Eccoti. E dire che quasi pensavo di averti perso. Sono stato fortunato, tu un po’ meno: sai, pensavo quasi di lasciarti andare.”

“NO!”

Non era solo un no ma bensì la negazione di quel destino che sapeva essersi costruito con le proprie mani. Una sfida a Dio stesso, all’Inferno e a tutti i diavoli che avrebbe potuto vomitargli addosso. L’adrenalina l’aveva scosso, donando un nuovo ed inaspettato vigore ai muscoli indolenziti. Si voltò di scatto abbassandosi e fece fuoco con il guanto teaser. Le suore pensavano che avesse consegnato tutta la sua attrezzatura quando si era presentato al rifugio ma aveva tenuto qualcosina per sé. La copertura di lana prese fuoco e lui urlò per la sorpresa, poiché se ne era completamente dimenticato. Non sapeva se avesse o meno colpito il bersaglio. C’era un distributore d’acqua e corse subito lì per spegnere quel piccolo incendio.

“Tutto qui? Mi deludi. M’aspettavo di meglio.”

La voce, fredda, impersonale, metallica, gli si avvicinò e poi venne colpito rapidamente. Le ginocchia si piegarono e poco dopo fu in terra.

“Aiutatemi.” Implorò rivolto ai presenti le cui immagini erano deformate da un muro di lagrime che gli copriva gli occhi.

“Per carità di Dio, aiutatemi.” Ripeté ancora una volta.

“Aiutarti? Così loro dovrebbero aiutarti? Va bene, allora facciamo così: lasciamo decidere loro cosa succederà ora; signori, signore, costui è feccia. Ora lo vedete qui piagnucolante, tremante. Farebbe persino pena, e compassione. Però fino a cinque mesi fa, si divertiva ad estorcere ai vecchietti le loro pensioni. Si, proprio così, avete sentito bene. Il figlio di troia sceglieva le sue vittime tra quelli che non potevano difendersi. Puntava le loro cose, entrava, faceva il suo numero pirotecnico e poi alleggeriva i mal capitati. Una signora di 76 anni, è morta per lo spavento. È un ladro e un omicida. Sapete come si è procurato la sua attrezzatura iper tecnologica? Vendeva immagini pornografiche di quindicenni tailandesi ad un giro di pervertiti di cui faceva parte un suo ex professore del liceo. Che ne dite? Secondo voi si divertiva anche lui a guardare quelle foto? Com’è che ti facevi chiamare? Il Terrore delle Strade? Allora, ditemi, volete intervenire per aiutare il Terrore delle Strade?”

Non ci fu risposta.

“Aiutatemi! Oddio santo, aiutatemi…”

Nessuna risposta.

“Nel nome di Gesù… abbiate pietà…”

Silenzio.

Sentì il suo braccio venir torto dietro la schiena, le ossa scricchiolare pesantemente.

“Hanno deciso. Mi dispiace per te. No, sto mentendo: non mi dispiace affatto per un sacco di spazzatura come te.”

Il ragazzo gorgogliò qualcosa, e nessuno capì se fosse un’ultima disperata richiesta d’aiuto o una maledizione diretta a loro che avevano scelto di lasciarlo al suo destino.

Non lo capì neanche Armada ma del resto a lui non gliene importava nulla.

Voleva solo giustiziare un altro porco.

 

 

“Hai commesso un grave errore.”

“E quale sarebbe?”

“Ti sei fatto vedere da troppa gente.”

“Parli di quella manica di pervertiti? Pensi che parleranno alla polizia? Non l’hanno nemmeno chiamata! Sono rimasti in silenzio, nemmeno un accenno di reazione.”

“Quella manica di pervertiti, sono le persone che ci siamo prefissati di proteggere. Se abbiamo fatto tutto questo, se Armada e Bestiario sono stati creati, è solo per questo specifico scopo.”

“Io pensavo per arrivare a punire quelli che la legge non riesce a punire adeguatamente.”

“Si ma solo a patto di continuare a proteggere gli indifesi.”

“Quelli erano solo pervertiti.”

“Erano persone sui cui gusti ed orientamenti si può anche discutere e che non si deve per forza trovare condivisibili ma sono sempre persone e fino a prova contraria innocenti.”

“Perché ti lamenti tanto? Ho eliminato il terrore delle strade! Che nome ridicolo.”

“Ora sanno come sei fatto, hanno visto Armada e prima o poi la polizia verrà a sapere della tua teatrale comparsa nel sexy shop.”

“E anche se fosse? Scusa, da lì come possono risalire a noi?”

Bestiario posò il suo elmetto sulla scrivania dove il portatile continuava a scaricare informazioni dal database  delle forze della polizia e dell’F.B.I. I più pericolosi ricercati in costume e non dello Stato di New York.

Il basso edificio in cui si trovavano, era sito in un luogo del tutto insospettabile che difficilmente sarebbe stato rintracciato presto in caso di emergenza.

“Armada, la polizia è in agitazione per quanto accaduto ieri.”

“L’agente ferito?”

“L’agente ferito, il demone, i Jong…”

“…lo Scorpione… possa la sua anima bruciare nel più lercio pozzo degli inferi…”

“…si, me lo auguro anche io. Sia come sia, al momento sono presi da altro ma quello che abbiamo fatto a S. Moritz li ha messi comunque in allarme. Prima o poi si dedicheranno a noi e potrebbero scoprire le nostre connessioni con il Demone.”

“Sei dell’opinione di scaricarlo?”

“Sapevamo che la nostra alleanza era a tempo determinato.”

“Ah! Il mio caro fratellino! Sempre attento e calcolatore.”

“Il mio maestro mi diceva sempre che un alleato è una risorsa preziosa ma un alleato senza più utilità è più pericoloso di un peso morto mentre stai saltando da un tetto all’altro.”

“E noi con S. Moritz abbiamo fatto un bel salto, eh?”

“Era la nostra dichiarazione di guerra. Nessun sopravvissuto. Nessun volto per i boia che hanno eseguito la condanna. Ecco perché è essenziale non farci vedere troppo. Una leggenda ha valore e potere solo finché rimane vaga e sospesa al confine tra realtà ed immaginazione. Se tutti avessero la prova che esistiamo, perderemmo gran parte dell’effetto psicologico che voglio creare nei criminali. Ammetto che abbiamo comunque rischiato nel metterci in mezzo alla storia tra il Demone e il Ragno.”

“So come la pensi sui super eroi. Sai che non li disprezzo ma li trovo troppo inefficienti! Il nostro amico non ha tutti i torti: se avessero il fegato di andare fino in fondo il mondo sarebbe un posto migliore e forse…”

“Non dirlo! Lo ammonì severo Bestiario, schioccandogli un’occhiata di disapprovazione Sai come la penso in proposito. La vita va come deve, punto. Non si può cambiare la storia, possiamo solo forgiare quella che ha da venire. E poi non chiamare il Demone amico. Non è amico di nessuno fatta eccezione per sé stesso, forse. Non avremmo dovuto intervenire nel suo combattimento come ci aveva chiesto ma avevamo un debito da saldare. Ora che l’abbiamo saldato, è tempo di chiudere il nostro rapporto con lui…”

Non aggiunse altro e tornò al computer per controllare se c’era qualche dato interessante.

 

 

 

Forest Hill, Queens, nei pressi del Water front – Giovedì ore 11.36 a.m.

 

 

M.J. si asciugò le lagrime che le rigavano il bel volto e tentò di ricomporsi. Dette un’occhiata all’orologio e si dette della sciocca. Alle 17 l’aereo di Peter sarebbe atterrato al J.F.K. e lei doveva fare parecchie cose. Dare una ripulita a casa, preparare qualcosa di buono da mangiare la sera per festeggiare il ritorno dell’uomo della sua vita. Sorrise al pensiero che tra poco l’avrebbe riabbracciato e si rese conto in quel momento di quanto al telefono dovesse essergli sembrata infantile con le sue grida ed i risolini gioiosi. La sua voce, così calda e vibrante, l’aveva rinfrancata. Erano ancora innamorati, erano ancora una coppia e tutte le difficoltà che c’erano state potevano essere superate anche se ci sarebbe voluto del tempo. La piccola May era entusiasta all’idea che il babbo sarebbe tornato dal viaggio e chiedeva in continuazione quando sarebbe arrivato. Decise che di quanto aveva saputo da Ilya ne avrebbero parlato domani. Voleva passare una notte serena tra le sue braccia, nutrendosi di quei baci che erano il sostentamento della sua anima. Aveva già avvertito il regista e Martin che si sarebbe presa due o tre giorni di riposo. Erano stati più che felici di accordarglieli. Nonostante fosse la star del momento per quanto riguardava il teatro, non era solita a capricci da prima donna e quindi quando chiedeva qualcosa, non le facevano mai storia anche perché si trattava nella maggior parte dei casi di richieste del tutto ragionevoli e stare un po’ di tempo con suo marito e la propria figlia sicuramente lo erano. Si alzò una leggera folata di vento e si ritrovò ad osservare ipnotizzata lo spettacolo di una foglia caduta prematuramente in terra catturata da un basso mulinello. Le dava l’illusoria sensazione che il verde si stesse spandendo nell’aria come se un colore ad olio che veniva passato su di una tela trasparente. Cosa avrebbe detto a Peter riguardo Phil? Doveva sicuramente parlargliene ma anche per quello, c’era tempo.

Fu un istante. Reagì istintivamente come le aveva insegnato Peter. Attutì la caduta girandosi di lato e non fece alcun tentativo di trattenere a sé la borsetta. Il ladro correva veloce ed era già piuttosto lontano quando si rialzò con la spalla dolente. Tentò di gridare ma rimase ammutolita per la sorpresa. Il delinquente era a terra e venne immobilizzato dallo stesso uomo che l’aveva rapidamente colpito interrompendone la fuga.

 

La polizia era arrivata quasi subito e dopo aver preso le generalità di Mary e del suo salvatore, portò via il teppistello, un ragazzo che pareva di origini indiane sulla quindicina. Le parve impossibile che tanto giovane potesse già fare una cosa del genere. Se fosse stata meno pronta, o una donna anziana come sua zia Anna, avrebbe potuto farsi male seriamente o anche peggio. Ancora una volta le si palesò alla mente tutta la differenza che poteva esistere tra Peter a quindici anni e la maggior parte dei suoi coetanei di allora. Certo, non erano criminali ma sicuramente  suo marito era un vero eroe che si faceva carico della difesa degli altri, lottando in prima linea contro la criminalità.

“Forse sarebbe meglio che andasse a farsi vedere al pronto soccorso.”

Fece l’uomo in tono preoccupato.

“No, sto bene, la ringrazio molto…”

Lo rassicurò M.J. Lui aveva un aspetto bizzarro. Era alto, biondo, capelli quasi fino alle spalle legati a coda, un accenno di barba sul mento, sulla quarantina e forse qualcosa di più, l’aria assonnata, come se si fosse svegliato poco prima e vestito in modo piuttosto trasandato, anche se non sporco. Erano i vestiti, tutti pieni di pieghe, indossati come se avesse dovuto sottoporsi per forza a quell’operazione. Gli accostamenti cromatici poi la dicevano lunga sui suoi gusti ma non le sembrò carino lasciarsi andare a quelle considerazioni, visto che gli aveva recuperato la borsetta.

“Complimenti!”

“Per cosa?”

“Per la manovra di prima.”

“Veramente, sono caduta a terra e quello mi ha portato via la borsetta senza che potessi reagire…”

“Si è comportata egregiamente. Il ragazzo era molto veloce e sicuro di sé. Sicuramente non era la prima volta che lo faceva. Se fosse stata meno rapida, si sarebbe ferita seriamente cadendo ed invece è riuscita a limitare al massimo i danni e ha fatto la cosa migliore: non opporre resistenza quando lui ha cercato di sfilargli la borsa; niente vale quanto la propria pelle.”

“Lei ha proprio ragione… signor?”

“Ligeti. Ricardo Ligeti, è un vero piacere.”

MJ strinse la mano che l’altro gli porgeva. Sapeva trattarsi di uno sconosciuto ma aveva un qualcosa che le ispirava un’istintiva fiducia. Forse era il suo sguardo rasserenante, o forse il suo tono di voce, franco e sincero.

 

 

 

Stonehenge Regno Unito – Giovedì ore 1.00 a.m.

 

 

Lo scontro con l’Uomo Ragno ed i suoi alleati italiani l’aveva sfiancato. Per la prima volta, dopo tanto tempo, aveva rischiato di morire. Si era sorpreso per via del tempo che aveva occupato quel pensiero nella sua mente: morire; da quando era in quello strano, meraviglioso mondo, aveva visto molti esseri umani morire e del resto era di umani morti che prendeva i corpi. Prima aveva sempre pensato alla sua eventuale fine come ad una cessazione, all’esaurimento delle sue forze senza possibilità di essere rigenerato. Si chiese ora se, dopo aver passato tanto tempo in quei corpi, in qualche modo anche lui non fosse diventato simile agli umani, e quindi capace di morire in modo analogo. In tal caso, cosa l’avrebbe aspettato dopo?

Weird e Perfection osservavano il loro signore a rispettosa distanza, per non interrompere la sua meditazione. Il primo era in via di guarigione dalle ferite che gli erano state inferte, anche se dentro sentiva cocente l’umiliazione della sconfitta e il desiderio di riscatto. La seconda guardava quella tragica e solitaria figura con qualcosa che trascendeva la semplice deferenza. Non sapeva come considerarlo: salvatore, mentore, padrone, amante e persino il padre che non aveva mai sentito di avere; Quest era ciò e molto di più per lei. Poteva continuamente cambiare aspetto ma riusciva a percepire quell’elemento di continuità che lo caratterizzava, dandole la sicurezza che fosse sempre lui dietro a tutte quelle maschere di carne e sangue. Lui si voltò, quasi in risposta ad un suo pensiero e le sorrise con dolcezza, facendole avvampare le gote e sobbalzare leggermente il bel petto.

Si, sono io, pareva dirle con quello sguardo perennemente imbevuto di solitudine, e sarò sempre qui, per te. Questo avrebbe voluto sentirgli dire ma non avrebbe mai osato chiederglielo.

“Mr. Quest, è sicuro di quello che sta per fare?”

La voce bassa e vagamente roca di Weird aveva rotto il monotono cantico del vento che carezzava col suo etereo corpo l’umida campagna inglese.

“Si” fu la semplice risposta dell’altro. Nonostante il tono rassicurante, la cosa non piaceva a nessuna delle sue due fedeli guardie del corpo ed assistenti.

“Capisco Signore e rispetto la sua volontà ma mi permetta di ricordarle, che sarà completamente solo. Lei stesso mi ha detto più volte che non è saggio aggirarsi in un territorio ostile senza alleati.”

“Solo se lì c’è qualcuno al corrente delle tue intenzioni. Nessuno mi aspetta ed io conto sull’effetto sorpresa e su questo.”

Brandì sorridendo la custodia in cui stava il rotolo che aveva ottenuto dall’essere che si era definito progenie di Anubis incontrato qualche tempo prima. Era stato questi a permettergli di recuperare la Stormbringer e aveva deciso di provare a concludere un altro affare.

“Può fidarsi di quel demone?”

Chiese senza riuscire ad impedire alla sua preoccupazione di traboccare Ms. Perfection.

“Certo! Avevo già visto qualcosa del genere e questo mi da conferma delle precedenti informazioni in mio possesso: si tratta della pianta della Torre dell’Eternità, il Sancta Sanctorum e rifugio del Mago Supremo dell’Altro Multiverso, il gemello del nostro, quello in cui sto per penetrare.”

Non disse altro. Aveva già dato tutte le disposizioni del caso. Doveva sbrigarsi perché l’impresa gli avrebbe richiesto gran parte delle sue energie e questo avrebbe richiamato l’attenzione dei vari gruppi che agivano su territorio britannico. Non gli sarebbe dispiaciuto incrociare nuovamente le armi con il Crown, visto che aveva un conto in sospeso e sapeva che avevano nei paraggi una base. Avrebbe dovuto rimandare perché ora aveva una missione ben più importante.

La macchina era stata sistemata tra le grandi ed antiche pietre, il luogo dove gli sarebbe stato facile far coincidere i due punti corrispondenti dello spazio di entrambi i continuum, piegandoli, e aprire un wormhole che l’avrebbe permesso di translare dall’uno all’altro. Non si trattava di un semplice viaggio tra realtà alternative ma tra i due modelli di esistenza che divinità cosmiche dal potere incomprensibile avevano generato eoni addietro dalle ceneri del precedente Universo.

Quello che accadde sotto gli occhi dei suoi uomini di fiducia fu una sorta di incendio di luce che si propagava verso l’alto. Il cronotipo veniva alterato dal campo magnetico che la macchina stavano generando. La coscienza di Quest si espanse, gonfiandosi, traboccando oltre i confini del proprio io, fluendo nel continuum di coscienza cosmica che univa tutte gli innumerevoli io del suo multiverso, viaggiando a ritroso nel tempo, come un pesce che risaliva la corrente di un fiume. La molteplicità era una delle caratteristiche principali del creato e per permetterne l’esistenza doveva esistere la molteplicità stessa e quindi una molteplicità delle molteplicità. Quella da lui cercata era la prima molteplicità dell’esistenza postuma al vecchio Universo, e dunque dovette tornare mentalmente fino agli albori della creazione. Uno sforzo massacrante. Da lì, seguendo la mappa delle infinità che gli era stata data, risalì lungo lo stream che gli interessava, sino a giungere al punto di contatto e cominciò a sollecitare le forze presenti nella controparte di Stonehenge che cominciarono a far pressione dalla parte opposta.

L’interfaccia dimensionale che separava i due Universi fu scossa da un brivido perun istante fu all’opera, in un singolo punto, un’energia che arrivò ad eguagliare quella del Sole. Quest dispiegò le braccia come se fossero due ali mentre controllava il flusso d’energia. Ci fu un enorme rilascio di fotoni, elettroni e positroni e rideva mentre si immaginava le facce di quelli del P.H.A.D.E. che si chiedevano cosa fosse quello  che i propri strumenti stavano rilevando. Il passaggio cominciò a dischiudersi intorno a sé e sentiva che il suo viaggio stava per iniziare. La singolarità generata ormai curvava in maniera infinita lo spazio-tempo e così ebbe pronto il suo passaggio per l’Altro Multiverso. Non  fu semplice fluirvi perché il tunnel aveva una struttura geometrica estremamente complessa, poiché una gran quantità di materia era stata fatta collassare in un volume praticamente nullo. Quest non poteva usare l’interfaccia interdimensionale perché navigarvi all’interno senza una guida, avrebbe significato perdersi irrimediabilmente ed inoltre sarebbe rimasto il problema della doppia barriera che separava i due Continuum. In questo modo aveva aggirato entrambi gli ostacoli ed ora nulla, o quasi, gli sbarrava la strada.

 

 

Sull’Oceano Atlantico, su un volo di linea della Pan Am. Giovedì ore 12.59 p.m.

 

 

Non gli piaceva per niente la situazione che si era venuta a creare. L’adrenalina era ancora alta e c’era troppa rabbia e paura negli occhi dei passeggeri per i suoi gusti.

“Ok, vediamo di calmarci tutti quanti.” Tentò di dire Peter Parker ma per tutta risposta, un signore sulla cinquantina gli sbraitò:

“E tu chi sei per darci ordini?! Prima irriti quei maledetti terroristi perché volevi giocare all’infermiere con quella deficiente isterica, poi perché ti sei vomitato addosso! Adesso vieni a dirci quello che dovremmo o non dovremmo fare?!”

“I terroristi, al momento, sono stati tutti neutralizzati!” Cercò di insistere mantenendo un tono tale da non irritare ulteriormente l’altro, impresa che sapeva impossibile, visto il suo evidente stato d’agitazione isterica.

“Siamo senza pilota!!! Siamo qui sull’oceano!!! E non sappiamo come cazzo arrivare a New York, o come tornare indietro!!! Tu dice che tutti i terroristi sono stati neutralizzati ma io dico che quel coso è un loro complice!”

“Eppure ci ha aiutati…”

“Questo lo dici tu! Ha anche le manette! Non vedi che un prigioniero?! Il poliziotto che era con lui non può di certo negare questa verità! Secondo me quelli non sono veri islamici! Devono essere dei fottuti mutanti o filo mutanti che volevano liberare quel coso!!!”

Il giovane oggetto di tanta animosità pareva spaventato e stava con le spalle attaccate al sedile, tremando impotente per la sua sorte. Il poliziotto che lo aveva in custodia invece pareva piuttosto calmo anche se pronto al peggio. Si chiese se in caso di necessità avrebbe usato la pistola. Impossibile. Non avrebbe mai aperto il fuoco su dei civili e per di più in un aereo. Lo sceriffo dell’aria lanciò un’occhiata al suo indirizzo: condivideva i suoi timori; poteva scatenarsi un linciaggio in qualsiasi istante e le conseguenze sarebbero state nefaste. Erano passati da una situazione critica ad una ancora più critica.

“Allora, tentò di ribattere Peter vista la gravità della situazione, il nostro primo pensiero dovrebbe essere come far atterrare l’aereo.”

“La cabina è chiusa!!! L’hanno chiusa i terroristi dall’interno! E stando a quello che questi bastardi ci hanno detto i piloti sono morti. Abbiamo tutti sentito gli spari lì dentro quindi sappiamo che anche i dirottatori che ne avevano preso il posto sono morti!”

“Però siamo ancora in aria e questo significa che deve essere stato innestato il pilota automatico!”

“E questo dovrebbe rassicurarci?! Quanto durerà ancora?! Quanto carburante abbiamo?! Come possiamo arrivare lì dentro!? E anche se ci arrivassimo, chi piloterebbe?!”

“Io.”

La risposta aveva provocato la medesima reazione in tutti i presenti. Prima un pesante velo di silenzio e quasi all’istante, tutti si erano voltati verso la direzione della provenienza di quella voce tremolante.

Peter Parker sperò con tutto il cuore che quanto avesse detto il giovane mutante fosse la verità o le cose sarebbero drammaticamente precipitate.

 

 

Fine dell’episodio.

 

*  Per saperne di più su Darian aspettate la mini  che racconterà dell’avventura del Ragnetto ha vissuto in un altro mondo…

 

** Seguite il Devil di Carlo Monni per capire di cosa sto parlando.

 

 

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